Insieme a Michele Posa, andiamo ad analizzare il connubbio tra Pro-Wrestling e MMA ai tempi del leggendario wrestler giapponese Antonio Inoki.

Michele Posa commenta il wrestling WWE sui canali di Sky Sport e in particolare su Sky Sport Arena. Le sue telecronache in coppia con Luca Franchini, sono trasmesse il martedì sera con WWE Raw e il mercoledì sera con WWE Smackdown.

Chiusa queste breve parentesi, andiamo a sviscerare la figura leggendaria di Antonio Inoki. Il più grande desiderio del giapponese era quello di diventare il miglior combattente della storia, elevando il livello del pro-wrestling a disciplina principe degli sport da combattimento.

Antonio Inoki era ossessionato dal rendere il pro-wrestler il combattente percepito più forte del mondo. È stato colui che più di tutti ha provato ad avvicinare le due discipline con delle performance. Inoki, allievo di Rikidozan, insieme al Gigante Baba, litiga con quest’ultimo. I due fonderanno ciascuno una propria federazione. Inoki fonda la New Japan pro-wrestling, mentre Baba la All Japan Pro Wrestling, proponendo tipologie di combattimento complementari, ma basate su filosofie agli antipodi. In questo contesto Inoki vuole legittimarsi come il migliore del mondo. Infatti paga olimpionici di vari stili e discipline per perdere contro di lui.

Il Gigante Baba insieme ad Antonio Inoki

I punti di contatto tra Pro-Wrestling e MMA

Il successo di Inoki e la mitica narrativa che viene costruita attorno a questo lottatore si rifà alla voglia di rivincita del mondo giapponese, ancora scosso dopo la sconfitta nella seconda guerra mondale:

Inizialmente i risultati sono positivi con Inoki che vuole ridare orgoglio ad una nazione che si è smarrita con la sconfitta nella seconda guerra mondiale. Il pro-wrestling, portato dal mitologico Rikidozan, tra l’altro nemmeno nato in Giappone, evidenzia, insieme al baseball, questa voglia di riscatto del Paese del Sol Levante. Nel baseball le squadre iniziano a diventare competitive a livello nazionale e mondiale. Nel wrestling vengono ingaggiati degli americani, stereotipati con il ruolo degli invasori che vogliono ancora dettare legge, dopo i bombardamenti compiuti. Quindi la sconfitta per mano di Rikidozan e i suoi allievi rappresenta una rivincita e una speranza per la popolazione, perché nonostante le ferite della guerra, il Giappone non abbassa la testa e continua a combatte e a vincere.

Quando Inoki fonda la NJPW ha le idee chiare: deve essere, per la nazione, lo sport da ring principe, tant’è che il sottotitolo della federazione è “King of sports”, il re degli sport, elevandone il prestigio.

L’obiettivo di diventare il più forte combattente del mondo passa anche attraverso un incontro molto discutibile con la leggenda della boxe Muhammad Ali, che paradossalmente per Inoki segna un punto discesa nella rincorsa a questo titolo:

Le vittorie di Inoki si moltiplicano, ma cominciano ad essere poco credibili. Il fan generico se la beve, mentre l’occhio critico del professionista di alto livello capisce che c’è qualcosa che non funziona. Tutto ciò precipita con l’incontro con Muhammad Ali.

I due non si accordano sulle regole da utilizzare. All’inizio Ali promette di perdere, poi sembra che cambi idea il giorno stesso del match, con i due che battibeccano. Alla fine si svolge un lunghissimo soporifero incontro, terminato in un pareggio, con Inoki che massacra una gamba dell’avversario, mentre Ali prova a mantenere la distanza. Il risultato non accontenta nessuno e anche i più sprovveduti capiscono che non si è trattata di una vera sfida sportiva, ma di un match concordato tramite i due entourage.

La mitica di Inoki viene un po’ scalfita da questa situazione, ma continuerà ancora a proporre cose inter-promozionali riguardanti la sua figura. In ogni caso la missione di imporsi come combattente più mitologico della storia subisce una battuta d’arresto.

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È all’inizio degli anni 2000 che comincia un periodo in cui i due sport si fondono. In quegli anni, Inoki prova a ibridare il mondo delle MMA con quello del pro-wrestling attraverso la NJPW.

Il Giappone è quello che più di tutti ha provato a ibridare il pro-wrestling con le arti marziali miste. Le MMA arrivano in Giappone con molte sigle, perché già ai tempi Tiger Mask ad inizio anni ’80, ci sono dissapori e dissidi. Egli scrisse un libro “Pro-wrestling is a fake, shoot-wrestling no”, facendo scalpore e inimicandosi l’ambiente del pro-wrestling.

Io ho in mente le influenze di inizio anni 2000, quando la NJPW provò ad allenare i giovani del Dojo sia al pro-wrestling sia alle MMA per renderli polivalenti. Si andavano a cercare combattenti come Yūji Nagata per farli combattere sia nel mondo del wrestling sia in quello delle arti marziali miste.

Però chi iniziava i rudimenti delle arti marziali miste si dimenticava velocemente quello imparato precedentemente, perché il wrestling ha una tipologia di combattimento concatenato differente. Il pro-wrestling lavora tanto sulla parte sinistra del corpo. Il pollice viene usato come perno per eseguire diverse manovre anche di lancio o di posizionamento.

Ma con i guanti, le mani si utilizzano in modo differente in uno stile di combattimento diverso, con certi riflessi condizionati che vengono persi. In sostanza, abbandoni le tue capacità in modo pesante, in uno dei due stili. La NJPW proporrà incontri con “shoot fighter” che si danno al wrestling, combattendo con guardia da arti marziali miste. Questi nuovi lottatori non riescono a fare un suplex, ma vanno a “blastare” l’avversario con lo striking, oppure con sottomissioni creative.

Yūji Nagata

Di questo periodo, Posa racconta la propria esperienza personale e la mancanza di interesse per questa nuova forma di intrattenimento:

Da fan dell’ambiente giapponese, questa contaminazione per me, è stata vissuta male. Il pro-wrestling vive della spettacolarità delle mosse e ha bisogno di una base concordativa tra gli atleti, mentre il marzialista vuole vincere. Se un atleta era bravo in entrambe le discipline prevaleva quella reale non quella realistica. Anche perché il pro-wrestler viene istruito all’accettazione della sconfitta; chiunque entri in una competizione vera, la sconfitta decisa a tavolino non l’accetta, soprattutto se deve arrivare con dei canoni specifici che però nel wrestling sono fondamentali.

Quel periodo mi ha allontanato dalla NJPW perché non mi riconoscevo. Il wrestling giapponese è sempre stato tecnico e spettacolare, meno rivolto alle storie, più sul combattimento. Era bello a livello visivo e attraente dal punto di vista del “fighting spirit”. Però se si presenta un lottatore in pantaloncini neri, impostato come un fighter di MMA, senza trasmettere emozione e partecipazione con gli atleti tutti fotocopia, questo per me è stata la decadenza di un ambiente che piaceva a tanti appassionati di MMA, ma che io, appassionato di pro-wrestling, non digerivo.

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Posa conclude il discorso, spiegando come questo esperimento non sia più replicabile ai giorni nostri, con entrambe le discipline che hanno preso strade molto diverse:

Oggi non è più replicabile. Che il pro-wrestling sia concordato è di dominio pubblico. Un combattente di MMA che va a fare pro-wrestling deve stare al gioco e non è detto che acquisisca le competenze necessarie. Per me è più facile che un pro-wrestler con una base di skill combattive migri nelle MMA, perché se sei abituato a vincere e a dover vincere, fare il percorso inverso non è facile. Passando dalle MMA al pro-wrestling si combatte da 2 volte all’anno a 200. In più si deve imparare uno stile differente e molti tipi di cadute al suolo. I fighter devono tenere a freno il loro killer instinct, mettendosi nelle mani del proprio avversario.

L’ibridazione tentata in Giappone non è più applicabile. I mondi sono così distanti e definiti che possono esserci personaggi che si spostano, ma solamente per ambizione personale o per motivi economici.

Non penso che la WWE voglia “MMAizzarsi”, né che la UFC cominci a fare match farsa. Anche perché nel caso si sapesse di un match concordato la reputazione della promotion verrebbe irrimediabilmente scalfita. Non mi piace una vicinanza di queste due differenti proposte: l’anima deve essere il fulcro di quello che fanno. Ci sono stati nella storia momenti di vicinanza voluta o casuale, ma ormai la differenza è incolmabile. Siamo su due rive contrapposte, bagnate dallo stesso fiume, due città che si guardano e che sono state alleate. Magari ora i rapporti sono freddi con gli abitanti che si guardano in modo diffidente, ma la realtà è che traiamo tutti il cibo dallo stesso corso d’acqua o dai campi adiacenti.

Nel prossimo e ultimo episodio di questa lunga intervista, Posa spiega il motivo che ha spinto molti atleti a spostarsi da uno dei due mondi ad un altro e quali spunti possono prendere le MMA da quello del pro-wrestling.

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Marco DallAcqua

Nato e cresciuto con la passione per la pallacanestro, scopro le MMA con l’incontro tra Brain Stann e Wanderlei Silva. Da li è amore a prima vista. Da quel 2013 seguo le MMA con grande passione, parlando di UFC e MMA italiane attraverso il blog di MMA Talks.

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