Alcune riflessioni su Conor McGregor dopo le ultime vicende che l’hanno vista protagonista del parcheggio del Berkeley Center di New York.
A meno che viviate su un altro pianeta, sapete già tutti di cosa sto parlando: Conor McGregor è stato arrestato per aver assalito un pulmino UFC mentre era alla ricerca di Khabib Nurmagomedov, con cui aveva dei conti da saldare. Appena saputa la notizia dell’arresto di McGregor, si è scatenato subito un parapiglia sui social a chi la sparava più grossa, dal pronosticare l’ennesima apocalisse per le MMA al più classico “qualcuno pensi ai bambini”.
Il gesto di McGregor è ingiustificabile. Vandalizzare la proprietà altrui è reato, aggiungiamoci che ha messo in serio pericolo l’incolumità di terzi che nulla avevano a che fare con la faida tra irlandesi e daghestani. Il caso ha voluto che alla fine i danni fossero solo un vetro rotto e qualche taglio di minore entità. Pensate cosa sarebbe successo se quel carrello da trasporto fosse finito dentro il pullman, però. Il danno si è ripercosso anche sulla UFC, che si è vista saltare tre match in card per via di questa situazione.
Messo in chiaro questo, a scanso di equivoci, si può tentare di capire le motivazioni che hanno portato McGregor a comportarsi in quel modo. Come sottolineato da un grande giornalista delle MMA, Ariel Helwani, le radici della rivalità tra l’irlandese e l’aquila daghesta sono profonde. Negli ultimi giorni c’è stata un’escalation della faida dopo che Nurmagomedov e il suo team hanno accerchiato Artem Lobov, compagno e amico stretto di Conor, intimandogli di non nominare più Khabib nelle interviste, tra un insulto omofobo e l’altro.
Qualcuno, in maniera un po’ ingenua, ha voluto vedere in questo alterco un cavalleresco tentativo di risolvere la faccenda in un confronto faccia a faccia tra i due russi. Dal nostro punto di vista, circondare un singolo atleta con tutto il tuo team alle spalle e spostare il confronto da una dimensione verbale (il trash talking può piacere come non piacere, ma sempre parole sono e restano) a una dimensione fisica (“schiaffetti educativi”, come definiti da qualcuno) ha poco di cavalleresco.
A quel punto era da aspettarsi una reazione dell’irlandese, da sempre molto suscettibile quando si tratta dei suoi amici. A voler giocare a fare i gangster, con minacce e “schiafetti educativi”, si rischia di portare la situazione a un punto di non ritorno. “The Notorious” ha reagito in maniera senz’altro spropositata, ma non per questo incomprensibile.
In queste ore i “marzialisti integerrimi si stanno strappando le vesti per la deriva che stanno prendendo le MMA“, come descritto in maniera perfetta dal buon Daniele Perfigli. Ho letto di qualcuno che ha paragonato le azioni di McGregor a quelle di OJ Simpson e Oscar Pistorious, tanto per rendere bene l’idea della dimensione iperbolica che ha preso la narrativa dei fatti. McGregor ha sbagliato, senza ombra di dubbio, è giusto che paghi con la giustizia e ripaghi chi ha danneggiato. Non per questo è diventato il capro espiatorio su cui scaricare tutte le colpe per le cose che non vanno nelle MMA.
Chi ne esce in qualche modo rafforzata è la figura di Artem Lobov. Chi non vorrebbe essere il migliore amico di un multimilionario che è disposto a prendere al volo il suo jet privato e volare sopra l’Atlantico pur di difenderti dai bulli?