Analisi di Yoel Romero vs Luke Rockhold, il commento del match che ha fatto da main event della serata che si è tenuta a Perth, Australia.
Al contrario di come alcuni siti di settore, pagine o blog avevano etichettato UFC 221, ero molto felice della card dell’evento. Ero molto curioso perché la serata proponeva vecchie glorie (Pearson VS Hirota), prospect orientali (Jingliang, Abe), futuri contender per il titolo dei massimi (Tuivasa, Blaydes) e atleti in cerca di riscatto nella loro carriera UFC (Ishihara, Kim, Matthews). Le aspettative sono state più che soddisfatte.
Orfano del legittimo campione di categoria, il match per il titolo ad interim ha visto opposti Luke Rockhold contro Yoel Romero. Notiamo da subito la differenza della situazione mentale dei due atleti all’appuntamento: Rockhold si sente il legittimo contendente al titolo e anche, a suo modo, il vero campione di categoria inciampato in un piccolo errore di distrazione contro Bisping, che gli è costato temporaneamente il titolo.
È difficile trovare un avversario che abbia messo in difficoltà Rockhold, a parte Belfort nel primo match in UFC dell’americano e l’intoppo con Bisping, ma lo stesso si può dire del suo sfidante. Romero ha dominato in tutti i suoi match tranne uno, quello con Kennedy, dove ha poi saputo trovare il modo per vincere. In più Romero ha dimostrato anche una notevole crescita tecnica durante la sua carriera in UFC, ma anche una crescita nel modo e nelle modalità di gestione del match. C’è da dire però che Romero, vista l’età (40 anni) aveva messo da parte, forse, le chances titolate dopo l’ultima sconfitta contro il campione in carica. Quindi da un lato abbiamo un atleta che si ritiene già il campione di categoria o il prossimo ad esserlo e dall’altro uno che vede in questo match l’ultima possibilità per poi combattere per la cintura.
Tecnicamente i due sono molto diversi. Seppur entrambi mancini hanno un modo di agire e reagire nell’ottagono diverso. Due striker a tutti gli effetti, anche se il background di Romero è nella lotta, ma molto diversi: Rockhold è tecnicamente completo ed ineccepibile con un grandissimo arsenale a disposizione in piedi, con un notevole ed efficace uso dei calci medi sinistri come si addice ad un buon mancino opposto agli orthodox (destri), buon jab, grappling fenomenale che diventa automaticamente la sua takedown defence mettendo i suoi avversari in pericolo anche nel caso riescano a prendere una top position. Il suo stile è caratterizzato da un lato da un ottimo ritmo (non troppo alto, ma costante) condito da un’estrema precisione nei colpi. Il limite è nella difesa. Spesso ha trovato problemi contro i lottatori che lo caricavano a testa bassa o che comunque lo mettevano spalle a parete (un po’ lo stesso difetto di Cowboy Cerrone per intenderci).
Discorso diverso per Romero: se il ritmo di Rockhold è costante e scandito dai colpi Romero, invece, passa interi minuti ad aspettare l’avversario. La sua rapidità e il suo atletismo, il suo head movement, lo tengono lontano dai colpi per poi esplodere in colpi singoli devastanti o in incontrastabili takedown. Questo lo rende imprevedibile e sempre pericoloso, lasciando agli avversari la conduzione del match, ma anche l’incertezza del timing del cubano.
Con queste dovute premesse partiamo con l’analisi di quello che è successo all’interno dell’ ottagono più famoso al mondo.
Nel primo round si concretizzano subito le premesse fatte: Romero attende con le mani molto alte per non farsi cogliere di sorpresa e Rockhold comanda l’azione. In che modo? Luke ha studiato l’avversario per bene e prova una tattica che altri non hanno avuto il coraggio di osare con il cubano: il californiano punta subito la gamba davanti di Romero con low kick tirati con la gamba dietro. Tipica tattica di un mancino contro un altro mancino. È una tattica rischiosa (se il cubano prendesse il tempo potrebbe entrare con facilità nella guardia di Luke o proiettarlo), ma che trova il suo perché nel fatto che può minare, con l’avanzare dei round, l’esplosività di Romero, che, trovandosi su una gamba sola, di certo sarebbe molto limitato.
Dal canto suo “The Soldier of God” prova dei blitz con delle serie di braccia senza mai trovare però la distanza giusta. Insomma poco prima di sedersi sugli sgabelli all’angolo alla fine del round Luke sembra in pieno controllo del match e Romero (per efficacia e non per stile) sembra l’ombra di se stesso.
Qui, su quei sgabelli, per lo spettatore attento, c’è la svolta del match. Il coach del cubano dice una cosa molto precisa al suo atleta che ha subìto Luke per tutto il round:
Ora sai di cosa è capace, sai che non può farti nulla, adesso tocca a te!
In effetti, seppur in controllo, Rockhold non è mai stato incisivo, non ha mai fatto sentire i guantini al suo avversario. Cinque minuti di controllo senza creare danni effettivi nelle MMA sono tanti. Troppi. Dal primo round in questo modo e con questa tattica ad uscirne vincitore è la testa e la mente di Yoel. Ora Yoel sa cosa fare.
Detto fatto. Inizia il secondo round ed il cubano parte a mille. Quei blitz accennati nel primo round ora trovano efficacia in un impetuoso attacco subito dopo il gong della campana. Rockhold viene colpito, ma non affondato, almeno non fisicamente, mentre mentalmente è già sotto. Il cubano lo ha colpito, ma soprattutto ha dato un’altra intensità al match. Rockhold è comunque un atleta di livello e quindi resiste al blitz e continua con la sua tattica. Il match segue così la falsa riga del primo round, ma è palese che Rockhold è scosso e lascia passare i minuti in attesa di difendersi dal prossimo blitz del cubano. Il californiano nella paura inizia anche a sbagliare i piedi e ad esporsi al sinistro di Yoel.
Romero charges at Rockhold with punches across the Octagon! @YoelRomeroMMA coming out swinging in round 2! #UFC221 pic.twitter.com/J4w5kQpRvB
— UFC (@ufc) 11 febbraio 2018
Il terzo round ha ben poco da dire: Rockhold è intimorito e mette jab e diretti dalla lunga distanza cercando di non esporsi più di tanto nell’attesa dei prossimi blitz del cubano e cercando di capire come difendersi. Il problema è che inizia a girare anche dal lato sbagliato. Infatti è un attimo: Yoel trova il tempo e su un jab lo incrocia con il sinistro. Match finito.
I was rooting for Luke but I’m happy Yoel won just because there’s NO FUCKING INTERIM BELT! “No for interim Jesus!” pic.twitter.com/KXZQB6wIhW
— Little Al (@phre) 12 febbraio 2018
Nella serie UFC Embedded, in un faccia a faccia tra i due atleti qualche giorno prima del match, il coach di Romero fa notare come Luke fosse intimorito dal cubano. Ritengo difficile che a questi livelli ci sia spazio per sentimenti del genere (gli atleti sono tutti preparatissimi, consci di quello che fanno), ma forse non l’aveva vista poi così male.