Khabib Nurmagomedov e Conor McGregor, l’analisi del concetto di violenza nelle MMA applicato al caso dei due pesi leggeri che si sfideranno tra poco.

Gli americani, in riferimento a situazioni di vantaggio di un fighter rispetto a un altro, utilizzano talvolta questo verbo: “To expose, to be exposed”. Non si tratta di un verbo usato per caso. Significa mettere in mostra i meccanismi che non funzionano nel proprio avversario, renderlo vulnerabile, fino ad umiliarlo.  A mio avviso, rende bene un concetto di violenza strettamente legato a quello di composizione.

La violenza non è il KO, la sottomissione o il ground and pound. La violenza è l’imposizione di certe composizioni su altre. Esporre l’avversario al rischio di decomposizione, parziale o totale. Violenza è rendere manifesta l’incapacità dell’avversario. La composizione non è la legge della boxe, né di qualunque altro sport in particolare.

Il discorso cambia con le MMA. Ogni tecnica, seppur tratta da una determinata disciplina, perde il legame con essa per entrare a far parte di un gioco di composizioni infinito, dove il suo unico riferimento è la totalità della “sostanza” MMA. In questo senso, diciamo che una tecnica è efficace solo nell’insieme. Una tecnica vincente o perdente nel grappling può esserlo anche nelle MMA, ma non perché lo è nel grappling. Se alla fine risulterà utile, questo non dipenderà dalla sua origine.

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Il valore di una tecnica di MMA si misura in base alle composizione che è in grado di generare. La tecnica finale non assomiglierà affatto a quella di partenza, per quanto simile possa sembrarci, perché ha subito un tipo di esame che l’ha resa più sensibile a precise composizioni. Ogni fighter, dal canto suo, attraverso un processo conoscitivo, mette in atto le sue composizioni, cioè dimostra quello di cui è capace. Così, egli sviluppa uno stile. Lo stile, quindi, non è altro che l’espressione di alcune serie di composizioni da parte del fighter.

Si potrebbe anche dire, se è vero che la composizione è la legge, che lo stile è una certa applicazione di essa. Quando affermo che il gioco di composizioni è infinito, voglio dire che lo stile è in perenne evoluzione. Una continua scoperta di quali composizioni si è capaci. Dietro ogni fighter non si nascondono discipline, ma uno stile. Non un’insieme di tecniche fra loro irrelate, ma serie di composizioni che si fanno eco tra di loro. Cosa significa “violenza” in questo contesto? In breve, la violenza è la la dominazione di uno stile su un altro.

Ha ragione Firas Zahabi quando dice che l’incontro fra Khabib Nurmagomedov e Conor McGregor non sarà granché competitivo. I loro due stili sono opposti, è ovvio che ci si aspetti una netta prevalenza di uno dei due, e non un combattimento all’ultimo sangue. Stili di serie di combinazioni fra loro simili produrranno con buona probabilità una battaglia lenta e logorante. Nel caso dei due pesi leggeri, ci aspetta invece un predominio. Come mai? Perché non c’è possibilità di contatto fra due stili così differenti. Né può Conor competere a terra con Khabib, né può quest’ultimo gareggiare in piedi con Conor.

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Non c’è l’incognita che era presente invece per quanto riguarda, ad esempio, l’incontro fra Tyron Woodley e Darren Till, entrambi dotati di un pugno potente, e quindi in grado di mandarsi KO a vicenda. Nessuno dei due contendenti può ambire ad umiliare l’avversario servendosi di composizioni simili. Non c’è alcuna possibilità di dialogo fra l’irlandese e il russo. Vincerà colui che costringerà l’avversario a combattere obbedendo ad uno stile che non conosce, perché non è il suo.

Il rischio di umiliazione è elevato proprio in quanto non sembrano esserci vie di fuga se non il predominio o la sconfitta totale. E la violenza sarà tanto maggiore quanto più sarà evidente l’imposizione di uno stile sull’altro.

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